sabato 1 giugno 2013

Solo un trucco

La verità è che La grande bellezza è al di sotto delle aspettative. Regia pretenziosa.
(Federica Polidoro, Cannes Updates: La grande bellezza, la grande attesa, la grande delusione. Sottotono l'ultimo Sorrentino, schiacciato dal giogo di Fellini, da artribune.com)

Sorrentino se la prende anche con il mondo dell'arte contemporanea, con una ridicola performance di una bambina urlante che getta secchi di vernici colorate su una tela in un garden party affollato di cadaveri agghindati a festa, e una visita del nostro Gambardella, nella sua veste di cronista mondano, ad una mostra fotografica di autoritratti allestita nell'emiciclo di Villa Giulia. Anche qui, pur nella sua lettura eccessivamente paradossale e grottesca, Sorrentino ha messo il coltello nella piaga, denunciando quel senso di stanchezza che da qualche tempo circola tra i vernissage capitolini, dove la dimensione sociale sembra aver preso il sopravvento su quella culturale.
(Ludovico Pratesi, Una grande bellezza sprecata, da exibart.com)

La grande bellezza è un film molto ambizioso, ma di straordinaria profondità: una pellicola incredibilmente autentica, sofferta e, per certi versi, coraggiosa. La tiepida (quando non fredda) accoglienza che molta critica (soprattutto italiana) ha riservato all'ultima fatica di Sorrentino dimostra quanto scomodi e accidentati siano i percorsi di senso lungo i quali il regista napoletano ha deciso di avventurarsi. Tra l'altro, il film è stato decisamente snobbato anche dalla giuria di Cannes ed è uscito a mani vuote dal Festival. Quanto agli ambienti intellettuali del nostro Paese, è lecito supporre che in molti casi abbiano bollato come "pretenzioso" il lavoro di Sorrentino perché messi di fronte ad uno specchio che non rifletteva l'immagine desiderata. Il realismo crudo, cinico e spietato del Garrone di Reality era stato in qualche modo tollerato perché colpiva il "popolo", la "massa". La grande bellezza non risparmia le élite, per questo motivo il film non riesce ad essere ben digerito neppure dal pubblico per il quale è stato girato. L'amorevole disappunto di Sorrentino (che ricorda la bella intervista di Simonetta Fiori al professor Asor Rosa, pubblicata da Laterza con il titolo Il grande silenzio nel 2009) è stato percepito come un pugno diretto al volto da quell'aristocrazia compiaciuta e invischiata nei rituali mondani, sinceramente interessata a mantenere in vita l'equazione che associa la cultura a un insignificante e innocuo passatempo. Oggi, nel momento in cui il silenzio colpevole degli intellettuali fa più rumore, è troppo facile liquidare la lucida presa di posizione di Sorrentino accusandolo di essere troppo "felliniano". Altro che felliniane evasioni! La grande bellezza è una doccia fredda di realtà, appena addolcita dal velo poetico rassicurante della citazione. Il risentimento della critica più vicina al mondo delle arti visive è in fondo comprensibile. Sorrentino ha voluto letteralmente "far sbattere la testa" all'artworld contro il muro delle sue ipocrisie. Come non sorridere amaramente ascoltando il geniale dialogo tra il protagonista e l'equivoco personaggio interpretato da Anita Kravos, per l'occasione pseudo-artista performativa? Sarebbe sufficiente questa sola scena, memorabile ed esilarante, per evidenziare e stigmatizzare le fin troppo reali e abituali pratiche di ricezione e diffusione acritica del vuoto, in assenza di contenuti. Bisognerebbe riflettere con autoironia su un ritratto così impietoso, non chiudere gli occhi o voltarsi dall'altra parte. In fondo, è tutto un trucco, solo un trucco (per usare le parole di Jep Gambardella): anche la disillusione di Sorrentino.

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