mercoledì 4 settembre 2013

Tre domande a Maurizio Spatola

Il complesso mosaico della poesia sperimentale del secondo dopoguerra è costituito da una molteplicità di tasselli, ognuno dei quali ha contribuito al superamento dei confini tra i codici espressivi delle differenti discipline artistiche. Sulla base della sua personale esperienza come editore, cronista e osservatore, in che modo componenti così diverse hanno interagito (tra dinamiche di differenziazione e tentativi di sintesi) per generare infine la profonda trasformazione del linguaggio e delle modalità comunicative che si è verificata tra il 1950 e il 1980?
Il travalicamento dei confini tra i linguaggi espressivi e comunicativi delle diverse forme d'arte era già stato suggerito e praticato dalle avanguardie storiche, in particolare dai futuristi italiani e russi e dai dadaisti. A ben guardare l'inizio di questa trasformazione si può intravedere già nella poesia Voyelles di Arthur Rimbaud (1871) e nel famoso Coup de dés di Stéphane Mallarmé (1897). E a indicare la necessità di percorrere questa via è anche Wassily Kandinsky in uno dei suoi interventi all'interno dell'antologia del Blaue Reiter (1912).
In cosa consiste la differenza con ciò che accade a partire dagli anni Cinquanta, con le profonde novità non solo sul piano della scrittura, ma anche su quello dell'arte visiva, ad esempio con l'Informale e poi con la Pop Art? Secondo quanto affermava l'americano Dick Higgins sviluppando il concetto di "Intermedia", che fece da perno all'attività del movimento Fluxus di cui fu tra i fondatori (con George Brecht e George Maciunas), questa rivoluzione nei e fra i linguaggi delle diverse arti non era che la conseguenza delle profonde trasformazioni sociali in atto: "Siamo vicini all'alba di una società senza classi nella quale la suddivisione rigida in categorie non avrà più senso".
Diversamente dai precedenti storici, i "nuovi" poeti, pittori, musicisti, ecc. non prendevano spunto da movimenti teoricamente organizzati, ma nascevano spontaneamente, spesso all'insaputa gli uni degli altri, ma creando opere analoghe, in vari paesi del mondo: ne è un esempio classico la poesia concreta, nata contemporaneamente, attorno alla metà degli anni Cinquanta, in Brasile (Noigandres), Svizzera (Eugen Gomringer), Germania (Franz Mon), Italia (Carlo Belloli), trovando nel 1958 in Max Bense, docente a Stuttgart, un lucido teorizzatore, in particolare nel suo impegnativo saggio Aesthetica, pubblicato in Italia nel 1974 dall'editore Bompiani, nella traduzione di Giovanni Anceschi.
In Italia, i primi segnali di questa interazione, o contaminazione, tra i diversi linguaggi artistici, si avvertono nella prima metà degli anni Sessanta in riviste quali "Bab Ilu" (Bologna), "Malebolge" (Reggio Emilia), in cui c'era lo zampino di mio fratello Adriano che nella seconda gettò sul campo di battaglia, con Giorgio Celli e Corrado Costa, l'idea del Parasurrealismo; ma anche nella romana "Ex" di Emilio Villa e nella napoletana "Linea Sud" fondata dagli scrittori Mario Diacono e Stelio Maria Martini con il pittore Mario Persico. Intanto a Firenze nasce il Gruppo 70 di Eugenio Miccini, Luciano Ori e Lamberto Pignotti ("Techne"), a Genova Anna e Martino Oberto pubblicano "Ana eccetera", mentre Ugo Carrega e Vincenzo Accame danno alle stampe il primo numero di "Tool". E a Torino, nel 1959, esce il primo numero di "Antipiugiù", rivista fondata da Arrigo Lora Totino e altri; lo stesso Lora Totino curerà nel 1966 l'antologia di poesia concreta Modulo, oltre a fondare lo "Studio di informazione estetica" con il pittore Sandro De Alexandris e il musicista Enore Zaffiri. Sul versante prettamente artistico un precedente importantissimo è rappresentato dal MAC, Movimento d'Arte Concreta (che nel nome si rifaceva al "concretismo" di Van Doesburg e Kandinsky), fondato nel 1948 a Milano da Attanasio Soldati, Gillo Dorfles e Bruno Munari e a cui aderirono in seguito personaggi come Gianni Bertini, Plinio Mesciulam, Luigi Veronesi, Carla Accardi, Piero Dorazio e Achille Perilli.
Ma l'avvenimento più importante, che consacra questo nuovo atteggiamento degli artisti di ogni genere, è l'incontro internazionale Parole sui muri a Fiumalbo, sull'Appennino modenese, nell'agosto 1967, organizzato da mio fratello con Corrado Costa e Claudio Parmiggiani, con la complicità del visionario sindaco Mario Molinari, al quale presi parte anch'io, non ancora ventunenne. Poco prima i tre fratelli Spatola avevano assemblato, a Torino, il primo numero dell'Antologia sperimentale Geiger (che nel titolo, preso dal contatore della radioattività, esprimeva appunto il concetto di contaminazione) raccoglitore non casuale di questo bailamme di esperienze, anche contraddittorie, ma feconde. Ciò che mi colpisce maggiormente, nei miei ricordi degli esplosivi accadimenti letterari e artistici di quegli anni, è l'assenza quasi totale di ostilità o competizione tra quanti esprimevano e praticavano modalità differenti, o addirittura divergenti, di inedite forme espressive. Atteggiamento collaborativo che si dissolse presto, ahimè.

Dopo la realizzazione della prima antologia Geiger, frutto della collaborazione tra i fratelli Spatola, nasce nei primi mesi del 1968, tra Bologna e Torino, la casa editrice omonima, che avrebbe operato per tutto il decennio successivo all'insegna dello sperimentalismo poetico e artistico. Risale all'anno successivo la prima edizione del fondamentale saggio di suo fratello Adriano: Verso la poesia totale. Che ricordo conserva di quei giorni?
L'idea delle Edizioni Geiger prese forma e si sviluppò rapidamente nell'autunno-inverno del 1967, subito dopo l'incontro di Fiumalbo e sull'onda del successo riscontrato, seppure in ambito ristretto ma internazionale, dalla prima Antologia sperimentale, sulle cui particolari modalità di realizzazione, mantenute identiche per tutti i numeri successivi, rimando all'introduzione di Geiger 1 nel mio sito archiviomauriziospatola.com (sezione "Edizioni Geiger" punto 11). Il vulcanico motore creativo di questa come di altre iniziative era sempre mio fratello Adriano, ma senza il contributo, non solo pratico, dei suoi due giovani fratelli la Casa editrice non avrebbe preso piede. I primi due libri, Il pesce gotico di Giorgio Celli e A test di Franco Vaccari (un poeta-scienziato e un pittore fotografo), videro la luce rispettivamente a Bologna e Modena, uscendo da una tipografia. I due successivi, O Babel di Adriano Malavasi e A capo di Gregorio Scalise, furono invece realizzati a Torino con il metodo artigianale dell'Antologia: le singole pagine vennero sì stampate in una piccola tipografia ma i libri furono assemblati manualmente dal sottoscritto e dal fratello sedicenne Tiziano sul tavolo della sala da pranzo dei genitori, alquanto sbigottiti da quell'inusitato trambusto. Questi quattro libri sono riprodotti integralmente nel mio sito e nelle singole presentazioni si possono trovare dettagli curiosi sul nostro modus operandi.
Dall'aprile del 1968 la sede delle Edizioni Geiger, registrate a mio nome presso la Camera di Commercio, venne stabilita definitivamente a Torino, prima presso l'abitazione dei nostri genitori, poi dal gennaio 1969 (data del mio matrimonio) presso la mia. Fu un inizio frenetico, in poco più di un anno pubblicammo una ventina di titoli, promuovendo una seconda collana "poesia", accanto alla prima, che avevamo denominato, in modo programmatico, "sperimentale", come l'Antologia da cui avevamo preso le mosse. Più chiaro di così il progetto non poteva essere: la ricerca sui nuovi linguaggi espressivi dei vari generi letterari e artistici, a livello internazionale, segnalata dai ticchettii del nostro speciale rilevatore Geiger, costituiva l'humus di fondo del nostro piccolo ma infaticabile lavorio. Entrammo così a far parte di quella che già nel 1971 venne definita "esoeditoria", in un convegno organizzato a Trento (vedi nel mio sito la sezione "Archivio", punto 18). Non eravamo i soli a dare spazio alle voci alternative, in qualche caso con pretese "rivoluzionarie" nell'accezione politica del termine (vedi la rivista "Lotta poetica" del bresciano Sarenco), ma quel sentimento collaborativo e amichevole che aveva contrassegnato gli anni Sessanta andò via via affievolendosi, per dare campo alla concorrenza, non solo sul piano delle idee.
Noi procedemmo per la nostra strada, soprattutto dopo il passaggio della sede operativa nel casale di Mulino di Bazzano, nella provincia parmense, dove Adriano s'era trasferito da Roma nel 1971 con la sua compagna di vita e di esperienze letterarie Giulia Niccolai. Da questo momento la mia vita cambiò: avendo un lavoro a Torino piuttosto impegnativo fui obbligato a divenire un "editore pendolare", con non pochi sacrifici (mia moglie non ne era molto contenta), mentre mi sobbarcavo nella mia abitazione la gestione amministrativa e commerciale della casa editrice. Con l'uscita nel marzo '72 del primo numero della rivista di poesia "Tam Tam", diretta da Adriano e Giulia, l'arco di attività delle Edizioni Geiger si espanse e raggiunse il suo apice: in un decennio pubblicammo oltre centoventi libri e ventiquattro numeri di "Tam Tam". E nel 1978 apparve il primo numero della rivista di poesia fonetica in audiocassette "Baobab", diretta da Adriano e pubblicata dall'editore musicale Ivano Burani di Reggio Emilia. Dal 1981 mio fratello proseguì da solo le pubblicazioni di "Tam Tam", altri trentatré numeri più una sessantina di libri editi come supplementi della rivista. Dal 1981 al 1984 Adriano diresse anche la rivista "Cervo volante" per l'editore romano Etrusculudens (Tommaso Cascella). La sua morte nel novembre 1988, a soli 47 anni, pose fine a tutto.
La pubblicazione nel 1969 da parte dell'editore Rumma di Salerno del saggio Verso la poesia totale (riedito poi con aggiornamenti nel 1978 a Torino da Paravia in una collana diretta dal Prof. Luciano Anceschi, maître à penser di Adriano), costituisce certo una pietra miliare nella poetica e nel pensiero filosofico di mio fratello. Sì, anche filosofico, in quanto su filosofi come Sartre, Husserl, Marx, Wittgenstein, Horkheimer e Adorno, senza contare Voltaire, si erano innestate, sin da giovanissimo, le radici del suo "ragionar". La data della prima edizione di Verso la poesia totale è in un certo senso simbolica: nell'agosto del 1969 esce infatti l'ultimo numero di "Quindici", la rivista romana che per tre anni era stata la "voce" del Gruppo 63, alla quale Adriano e Giulia avevano dato un notevole contributo, appartenendo entrambi a quel movimento sin dalle sue origini. La frattura fra "impegnati" e "letterati" che aveva imposto la chiusura di "Quindici" e posto fine all'esperienza del Gruppo 63 era stata vissuta da Adriano in modo traumatico, ma la decisione di dedicarsi soprattutto alla ricerca dell'autentico ruolo della poesia e dei poeti stava già diventando per lui il punto cruciale della sua esistenza. In questa direzione va interpretata la stesura del saggio, che offre un panorama completo delle esperienze internazionali su forme alternative di scrittura visuale, dalla poesia visiva alla concreta, con ampi accenni ai precedenti storici. Come lo stesso Adriano riconosce, il concetto di "poesia totale" non è farina del suo sacco, affondando le sue radici non solo nel movimento Fluxus e dintorni, ma in precedenti illustri dadaisti (Marcel Duchamp, Man Ray) e surrealisti, in particolare nell'amato André Breton, del quale mio fratello condivideva l'idea del poeta come sciamano.

Nel suo scritto Etica, rigore, anarchismes nella poetica di Adriano Spatola, pubblicato tre anni fa sulla rivista Testuale, afferma che, dopo gli eventi degli ultimi anni Sessanta, la poesia totale: "Sarebbe divenuta per Adriano una forma mentis, che ne avrebbe contrassegnato non solo il lavoro poetico, ma il comportamento stesso, fino nei minimi gesti quotidiani". Crede che l'instancabile ricerca di suo fratello mirasse a un'ideale fusione di arte e vita? Può la vita seguire i percorsi dell'immaginazione, oppure è l'arte a dover fare inevitabilmente i conti con la realtà?
Domanda da un milione di dollari. La fusione fra arte e vita non ha certo caratterizzato solo l'esistenza di mio fratello Adriano, ma tranne rare eccezioni, non ha mai significato la confusione tra i due piani. Sono migliaia gli artisti (poeti, scrittori, pittori, scultori, musicisti, attori, drammaturghi, architetti, ecc.) sulla cui tomba si potrebbe tranquillamente scrivere l'epitaffio: "Una vita per l'Arte". Caravaggio, Mozart, Verdi, Baudelaire, Rodin, Pirandello, Gassman, Gaudí, Niemeyer, Proust, Kerouac, Tagore, Garcia Lorca, solo per fare qualche esempio di ogni categoria, non hanno forse vissuto fino in fondo la loro creatività sino a farne parte integrante della propria esistenza? Adriano Spatola è stato uno fra coloro che hanno portato alle estreme conseguenze la loro fatica per affermare un'idea nuova dell'arte (nel suo caso la poesia), senza compromessi e senza bramosie di successo o di guadagno, anche se qualche piccola soddisfazione di questo genere se l'è tolta pure lui (vedi partecipazione al Maurizio Costanzo Show poco prima di morire). Giulia Niccolai, sua compagna nell'avventura di "Tam Tam" e di vita dal 1968 al 1979, ne ha così descritto la sofferenza in modo per me mirabile: "La poesia è stata per Adriano il solo ruolo possibile, il suo tormento va attribuito all'incapacità di scalfire la convinzione granitica di questa sua scelta, di capire quale errore egli avesse commesso [...] La sua poesia può essere letta come una sfida al limite dello svuotamento del significato della poesia stessa, e la sua diciamo battaglia contro i 'monumenti' della poesia, va comunque sempre considerata alla luce del suo sforzo di penetrare nell'insondabilità della comunicazione. Questo il filo di rasoio sul quale egli scelse di portare avanti la sua ambiziosa provocazione. E se la giustizia letteraria passa attraverso le intenzioni, quel molto di sforzo pagato da ogni poeta, Adriano l'ha pagato con la vita".


Maurizio Spatola è nato nel 1946 a Stradella (Pavia) e vive attualmente a Sestri Levante, sulla Riviera Ligure. Ha studiato al liceo classico "Galvani" di Bologna, a due passi dall'Osteria di via dei Poeti, frequentata dai futuri protagonisti dell'avanguardia letteraria bolognese. Interrotti gli studi universitari di filosofia e intrapresa a Torino la carriera giornalistica, ha lavorato a lungo per l'Editrice La Stampa e in seguito come freelance per diversi periodici.
Ha fondato con il fratello Adriano, nel 1968, le edizioni Geiger, di cui ha curato le note antologie sperimentali. Le edizioni Geiger, attive fra l'Emilia e il capoluogo piemontese nel campo della sperimentazione artistica e letteraria, hanno pubblicato, artigianalmente e in tirature limitate negli anni Settanta e Ottanta, libri e riviste, la più nota delle quali è il periodico di poesia Tam Tam, diretto da Adriano Spatola e Giulia Niccolai.
Poesie concrete e visuali di Maurizio Spatola sono state pubblicate fra il 1967 e il 1972 nell'antologia integrante il libro di Ezio Gribaudo Il peso del concreto (Torino 1968) e sulle riviste Chicago Review (USA), Ovum 10 (Uruguay), La Battana e Signal (Yugoslavia), Approches e Doc(k)s (Francia), Mec, Pianeta, Quindici e Tool (Italia). Suoi scritti sulla poesia d'avanguardia sono apparsi su alcuni quotidiani e varie riviste letterarie.
Nel 2001 ha perso l'uso della vista. Nonostante ciò, convinto che la realtà e l'esistenza stessa siano il prodotto di un paradosso patafisico, continua ad occuparsi di poesia visuale e arti visive.

Per approfondire:

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